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Come ha denunciato Salvatore Sfrecola, l’opacità della legislazione italiana non è un caso: è il prodotto di una cultura del potere che teme la chiarezza.
Come ha denunciato Salvatore Sfrecola, l’opacità della legislazione italiana non è un caso: è il prodotto di una cultura del potere che teme la chiarezza.
In Italia, la legge non parla ai cittadini. La aggira, la disorienta, la allontana. È scritta in un linguaggio che non spiega, ma complica; non ordina, ma stratifica; non garantisce, ma confonde. E così, ciò che dovrebbe essere fondamento di certezza e giustizia si trasforma in un labirinto di commi, rimandi e interpretazioni.
Salvatore Sfrecola ha colto con precisione questo nodo: una legislazione oscura non nasce per caso. È frutto di una degenerazione culturale e istituzionale che ha sostituito la chiarezza con l’ambiguità, l’interesse generale con quello particolare, la responsabilità politica con l’alibi tecnico.
Il risultato? Un cittadino che non capisce, un imprenditore che rinuncia, un funzionario che si paralizza per paura di sbagliare. E al centro di tutto, una classe dirigente che troppo spesso trova nell’opacità normativa lo spazio per manovre, rinvii e deresponsabilizzazione.
La riforma della burocrazia è urgente, certo. Ma non potrà mai essere efficace senza una rivoluzione preliminare: quella del linguaggio legislativo. Serve una nuova stagione in cui le leggi tornino a essere scritte per chi deve rispettarle, non per chi deve interpretarle a proprio vantaggio.
La chiarezza non è un lusso. È una condizione democratica. E, oggi più che mai, è un atto politico di verità.
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