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Un editoriale sul “gaio nichilismo” e sulla cultura della cancellazione: non un semplice cambio di linguaggio, ma un processo che riscrive simboli, memoria e identità, trasformando il dissenso in colpa e la complessità in anatema. L'autore legge in questa dinamica un'operazione di neolingua e “risignificazione” che richiama il “nichilismo gaio” discusso da Augusto Del Noce e, in altra chiave, da Philippe Muray. Sullo sfondo, Davos e il World Economic Forum, dove “Great Reset” è anche il nome di un'iniziativa esplicitamente proposta dal WEF a partire dal 2020.
Un editoriale sul “gaio nichilismo” e sulla cultura della cancellazione: non un semplice cambio di linguaggio, ma un processo che riscrive simboli, memoria e identità, trasformando il dissenso in colpa e la complessità in anatema. L'autore legge in questa dinamica un'operazione di neolingua e “risignificazione” che richiama il “nichilismo gaio” discusso da Augusto Del Noce e, in altra chiave, da Philippe Muray. Sullo sfondo, Davos e il World Economic Forum, dove “Great Reset” è anche il nome di un'iniziativa esplicitamente proposta dal WEF a partire dal 2020.
Il degrado culturale che respiri oggi non è un incidente. È il risultato di un progetto preciso. Ha i suoi luoghi simbolici, Davos e il World Economic Forum. Ha un nome, il Grande Reset. Ha i suoi strumenti, la neolingua, il politicamente corretto, la teoria gender, la cultura pop e una musica che ti chiede di immaginare un mondo senza radici e senza cielo, come in Imagine di John Lennon. Tutto converge verso un unico esito. Un nichilismo dolce in superficie e asfissiante nella sostanza. Un’umanità senza memoria, senza identità, senza difese.
La correttezza politica non è una gentilezza del linguaggio, e’ un’ideologia. Un sistema di controllo. È lo strumento della classe dominante, dell’élite mondialista, per trasformare popoli in sudditi. Prima si cancella, poi si risignifica, infine si ricostruisce un nuovo senso comune che non nasce dal basso ma viene imposto dall’alto.
La cultura della cancellazione non si accontenta di criticare il passato. Lo deve distruggere. È vietato contestualizzare. Non puoi dire che un autore, un monumento, un libro appartengono ad un tempo, ad un luogo, ad una mentalità diversa. Devi solo giudicare e condannare. Gli avvisi moralistici accanto ai testi, ai film, alle opere d’arte sono la nuova liturgia. Ti dicono che ciò che stai per vedere è “potenzialmente offensivo” perché portatore di valori “non condivisi”. Il messaggio è chiaro. Non pensare da solo. Accetta la chiave di lettura che ti viene fornita. Il presente giudica tutto. Il presente ha sempre ragione.
Il cuore del progetto è la parola. La neolingua non è un vezzo linguistico. È una psyop. Un’operazione psicologica pianificata per modificare la psiche collettiva. Cambiare le parole vuol dire cambiare ciò che puoi pensare. Il politicamente corretto lavora su questo. Alcuni termini vengono proibiti. Altri vengono svuotati e riempiti di significati opposti. “Tolleranza”, “inclusione”, “diritti” diventano armi per zittire il dissenso. “Intollerante” non significa più chi odia l’altro, significa chi non ripete la linea del sistema. Oppositore, critico, eretico vengono spinti nello stesso angolo. Sono “problematici”, sono “pericolosi”, non hanno diritto di parola.
Il Grande Reset non riguarda solo l’economia. Riguarda il linguaggio e la mente. È un reset semantico. E’ un precesso di “risignificazione”. Le parole non designano più la realtà. Disegnano il programma. “Famiglia”, “padre”, “madre”, “uomo”, “donna” diventano categorie sospette. Si preferiscono giri di parole neutri, astratti, freddi. “Genitore 1”, “genitore 2”, “persona gestante”. Non è neutralità, e’ cancellazione. Si elimina il dato naturale, storico, simbolico. Si sostituisce con un’etichetta amministrativa, funzionale, reversibile.
La teoria gender è la frontiera più avanzata di questo processo. Non nasce per proteggere chi soffre. Nasce per dissolvere ogni identità data. Non esistono più maschio e femmina. Esistono decine di “generi” ed “orientamenti” dichiarati, rivendicati, fluttuanti. L’identità non è più eredità, storia, corpo. È sensazione momentanea. È auto definizione continua. “Io sono quello che mi sento”, ed il resto deve adeguarsi. La biologia diventa un’opinione. Chi si ostina a dire che esistono due sessi rischia il posto, la reputazione, la cancellazione sociale.
Qui la neolingua si salda con l’ideologia. L’intersezionalità costruisce una nuova mappa di vittime e colpevoli. Alcuni gruppi sono per definizione oppressi. Altri per definizione oppressori. Non conta ciò che fai, conta chi sei. Maschio, bianco, eterosessuale equivale a colpevole di default. Lo Stato, il diritto, l’università, gli ordini professionali vengono piegati a questa logica. Si risponde ad ingiustizie vere o presunte con nuove ingiustizie. Si capovolge la parità giuridica. Si nega la presunzione di innocenza. Si spacca la società in blocchi ostili che non possono più parlarsi.
Davos è la regia di questa visione. Il Grande Reset promette un’umanità più giusta, più sostenibile, più inclusiva. In realtà propone un mondo in cui tu non possiedi nulla, non decidi nulla, non tramandi nulla. L’orizzonte è interamente immanente. Non c’è trascendenza, non c’è tradizione, non c’è verità. Solo gestione tecnica della vita. Solo governance globale. Solo sorveglianza. La neolingua serve a rendere tutto questo accettabile, a rivestire la spoliazione con parole emotive. “Equità”. “Sostenibilità”. “Diversità”. Chi può opporsi a queste parole senza apparire un mostro?
Su questo sfondo si capisce anche il ruolo della cultura pop e della musica. Il nichilismo non viene più presentato come tragedia. Viene proposto come dolce anestesia. Philippe Muray parla di “nichilismo gaio”. Tu riprendi l’immagine. Non è più il nulla tormentato, drammatico. È un nulla sorridente, colorato, pacificato. Il simbolo perfetto è Imagine di John Lennon. Una melodia morbida, un testo apparentemente innocuo. Ma il cuore del messaggio è chiaro. Immagina un mondo senza paradiso e senza inferno. Senza religione. Senza nazioni. Senza appartenenze. Senza qualcosa per cui valga la pena vivere fino in fondo, soffrire, resistere. Solo un’umanità indistinta che “vive per l’oggi”.
Sembra pace. In realtà è dissoluzione. Se non c’è nulla sopra di te e nulla davanti a te, se non c’è verità, se non c’è bene e male, se ogni identità è arbitraria, resta solo il consumo. Resta solo l’intrattenimento. Resta solo il presente infinito, gestito da chi controlla piattaforme, dati, algoritmi. È il “gaio nichilismo” di cui scrive Del Noce. Un mondo che elimina il dramma dal cuore dell’uomo e riduce tutto a gioco, piacere superficiale, desiderio elevato a diritto. La differenza, anche sessuale, non è più l’incontro con l’altro, e’ estensione dell’io. Amore come autocompiacimento. Sessualità come mercato.
La cultura di massa completa il lavoro. Libri usa e getta, serie televisive seriali, pornografia onnipresente, subculture tossiche, musica rumorosa e vuota, iconografie sataniste travestite da ironia. Niente è neutro. Ogni contenuto spinge nella stessa direzione. Sradicare, spezzare il legame con la tua storia, la tua terra, la tua tradizione. Renderti estraneo a te stesso. La Matrix non è fantascienza, e’ il sistema reale in cui vivono le generazioni più giovani. La televisione ieri, i social oggi. Uno schermo permanente che fornisce modello, vocabolario, reazioni automatiche.
La scuola non è più un argine. In molti Paesi diventa laboratorio di questo esperimento. La matematica viene accusata di essere “razzista”, “suprematista”. Non perché 2 più 2 non faccia 4, ma perché la logica, il rigore, la realtà stessa sono visti come strutture oppressive. È il ribaltamento brutale e totale del rapporto con il vero. Se la realtà non si piega al tuo desiderio, il problema è la realtà, non tu. Così la verità diventa “narrazione dominante”, ed ogni narrazione alternativa, anche se più aderente ai fatti, viene etichettata come complottismo, odio, disinformazione.
La cancel culture e il prebunking sono step successivi della stessa operazione. Non ci si limita più a censurare ciò che esce dal binario. Si anticipa. Si avverte in anticipo che su un evento circoleranno versioni “false”. Si prepara la mente a rifiutare tutto ciò che non coincide con la versione certificata. È un prelavaggio cognitivo. Quando arriverà una voce diversa, sarà già classificata come errore, malattia, pericolo.
Il risultato è un clima in cui molti tacciono. Per paura, per stanchezza, per calcolo. Il silenzio è forse l’aspetto più inquietante. La grande cancellazione avanza ogni giorno e ottiene nuovi obiettivi. Eppure la realtà resiste. Due più due continua a fare quattro. La neve rimane bianca. Un figlio nasce da un padre e da una madre. La natura, la verità, il corpo, la differenza non spariscono perché la neolingua li ha rinominati.
Il progetto di Davos, del Grande Reset, della neolingua politicamente corretta punta a creare una massa di “peoplekind”, come vorrebbe Trudeau. Non più uomini e donne. Non più popoli. Non più cittadini. Solo gente. Indifferenziata, intercambiabile, programmabile. È il sogno di ogni potere totalitario. È la guerra cognitiva contro l’homo sapiens. La cultura moderna, ridotta a intrattenimento e propaganda, è l’arma di distruzione di massa più efficace. Ti separa da ciò che sei. Ti lascia solo, nudo, confuso. Perfetto per essere governato.
Sta a te decidere se accettare questa forma di anestesia o se tornare a chiamare le cose con il loro nome. Parlare chiaro oggi è un atto di resistenza. Non è nostalgia. È igiene mentale.
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